Belles de nuit. Piacere, eros e scandalo nell’arte

Belles de nuit. Piacere, eros e scandalo nell’arte

Belles de nuit, prostitute, meretrici, cortigiane, signorine allegre, baldracche, donne mondane e immorali, miserabili sgualdrine… questione di semantica. In ogni caso, donne che vivono nella povertà dell’animo, nella costante mercificazione del proprio io. La figura della prostituta, della “vita”, l’arte del piacere sono alcuni tra i soggetti che, più di altri, si legano alla sfera visiva. Perché l’eros e il piacere, un po’ come il cibo, partono dalla vista e si nutrono dello sguardo.

Quello della prostituta è un mestiere vecchio come il mondo e così le sue rappresentazioni. Già in epoca classica, al tempo degli dei e dei re, l’immagine di queste professioniste dell’amore campeggiano sui muri dei vicoli più poveri e lascivi, esaltate non solo nelle rappresentazioni artistiche ma anche letterarie da maestri della parola come Ovidio, Sallustio e Catullo. Anche durante gli anni bui del Medioevo un ricco e variegato filone artistico viene interamente dedicato alle raffigurazioni di prostitute, bordelli e dei suoi frequentatori. L’avvento del Rinascimento e di una nuova e più rigida morale pubblica pone un freno al proliferare di immagini che inneggino al meretricio. É durante gli anni della belle epoque che le voluttà dell’ars amatoria riscoprono nuova linfa.

Numerosi gli artisti, da Manet a Degas, passando per Van Gogh, Honoré de Balzac, Toulouse Lautrec e Picasso che, in maniera differente, hanno messo a servizio di cortigiane e puttane il proprio talento ritraendo volti e corpi di queste dispensatrici d’amore, sia per la più facile disponibilità di queste donne a spogliarsi e farsi ritrarsi nude (dietro compensi pressoché irrisori), sia per l’assidua frequentazione di molti di questi artisti di ambienti considerati indecenti e immorali che se da un lato rappresentano la raffigurazione vivente del proletariato e dei suoi divertimenti, dall’altro acriticamente offrono spettacolo e svaghi anche ai più abbienti esponenti della società.

Se alcuni, come Manet e Cezanne si limitano a stuzzicare la sensibilità dell’opinione pubblica, perbenista e un po’ bigotta, offrendo l’immagine di donne nude sdraiate su chaise longue o sull’erba in compagnia di giovani eleganti o – ancora – intente a sollazzarsi sulle rive di un lago – Degas ne regale una versione, sicuramente più colorita ingiuriosa, mostrano donne grasse, prive di grazia o qualsiasi pudore, schiave della propria, miserabile condizione.

Colui che più di altri è, invece, riuscito a cogliere l’essenza della “vita” delle prostitute è, senza dubbio, Henry de Toulouse Lautrec. Sono gli anni di Emile Zola e del naturalismo, in cui l’attenzione del pubblico si focalizza sulla vita e le condizioni, nude e crude, del ceto popolare. Toulouse Lautrec sceglie di raffigurare non solo i luoghi ma le genti. Senza ossequi o timori reverenziali, riporta su tela i volti di poveracci ubriachi e capitalisti rimbecilliti ritratti in compagnia di succinte filles de joie imbellettate nei loro vezzi, avvolte da pizzi e piume, nel diletto delle carni che li accarezzano per eccitarli. Quelle dei bordelli, delle case chiuse, d’altronde, sono tra le sue produzioni più celebri. Tuttavia, il suo atteggiamento nei confronti di queste dispensatrici d’amore è contraddittorio. L’artista intreccia una profonda amicizia con molte di loro, alcune amanti altre semplici modelle. Non utilizza abbellimenti né allegorie ritraendole nel loro ambiente domestico, concentrandosi sulla sfera emotiva, ma non della sofferenza per la condizione quasi da reiette all’interno della società, ma di donne che svolgono il proprio lavoro in alcuni casi con spontanea e aperta spregiudicatezza, in altri con docile rassegnazione, proprio di una classe sociale abituata a subire.

Altro habitue di postriboli e maison close, Pablo Picasso che nei suoi dipinti dà alle sue mademoiselles una forza aggressiva che rompe i falsi perbenismi tipici della società occidentale, messe in mostra in aperto atteggiamento di sfida e provocazione.

Che appaiano mansuete nel loro fascino conturbante e, per molti, irraggiungibile o lascive e disponibili alla mercé di amateur e avventori del piacere e dell’eros, certo è che nelle movenze dei loro corpi, in riposo o nel turbinio della danza, nella piega di una bocca o in un gesto appena accennato, queste coquettes, sensuali eroine di un universo equivoco e piccante mitizzato da artisti e filosofi, trasmettono con il loro esistere il fremito della vita: il guizzo della lucertola, il volo della farfalla, sfidando tabù e ipocrisie di una società continuamente scissa tra essere e apparire.

di Carmela Corso

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