Carnevale in Sicilia. Dolci, tradizioni, costumi

Carnevale in Sicilia. Dolci, tradizioni, costumi

Musica, danza, colori, maschere, carri allegorici… difficile immaginare una festa più giocosa e colorata del Carnevale, celebrata in molti paesi di origine cristiana – dall’Italia all’Argentina, passando per la Russia, la Bolivia, la Francia e il Portogallo – attraverso pubbliche parate durante le quali elementi fantasiosi e giocosi dominano la scena catalizzando l’attenzione.

L’etimologia della parola carnevale deriva dal latino “carmen levare”, ossia eliminare la carne, per indicare il banchetto che si teneva l’ultimo giorno di festa, svolto di martedì. Questo giorno, definito “martedì grasso” per l’abbondanza di cibo disposto sulle tavole, chiudeva i festeggiamenti della settimana del carnevale per lasciar spazio al periodo di astinenza e digiuno della quaresima.

Benché presente nella tradizione cattolica, il carattere di diletto e sollazzo tipici del carnevale sono un chiaro retaggio delle antiche celebrazioni delle antesterie e dei saturnali, durante le quali era consentito un vero e proprio ribaltamento delle gerarchie e degli obblighi sociali tale che gli schiavi potevano considerarsi temporaneamente degli uomini liberi, e comportarsi come tali; veniva eletto, tramite estrazione a sorte, un princeps – una sorta di caricatura della classe nobile – vestito con una buffa maschera e colori sgargianti tra i quali spiccava il rosso (colore degli dei e, in particolare di Saturno, custode delle anime dei defunti, ma anche protettore delle campagne e dei raccolti).

Il carnevale diventava, dunque, non soltanto un momento ludico ma anche e soprattutto simbolico in cui sostituendosi all’ordine precostituito, il caos produceva un rinvigorito rinnovamento dello spirito.

Divertente e affascinante, celebrazione simbolo del divertimento e dello scherzo, il carnevale è senza dubbio una delle festività maggiormente attese e sentite, alla cui eco la Sicilia risponde con un ventaglio altrettanto colorato e variegato di tradizioni locali.

Le prime tracce attribuibili a questa eccentrica festa nell’isola risalgono circa al 1600 e riguardano la città di Palermo. Le famiglie palermitane usavano creare maschere e addobbi sfarzosi che consentissero loro di poter evadere dalla routine quotidiana.

Per i vicoli della città era possibile assistere alla “Balla-Virticchi”, dove, travestiti da pigmei, i cittadini ballavano al ritmo di antichi strumenti. Legate al Carnevale, nella tradizione popolare, erano poi gli indovinelli in dialetto ricchi di doppi sensi, taluni particolarmente sconci, che spesso celavano una soluzione assai più ingenua di ciò che davano ad immaginare.

Elemento distintivo e caratterizzante del carnevale è sempre stato, indubbiamente, l’uso delle maschere, rappresentazioni goliardiche ed enfatizzate dei caratteri umani. E la Sicilia, ricca com’è di storia, tradizioni e personaggi, ha dato origine ad alcune tra le più pittoresche e caratteristiche d’Italia, come quella seicentesca di Peppe (o Beppe) Nappa o ancora quelle dei Jardinara (giardinieri), degli abbati, dei dutturi e dei baruni.

Due delle maschere particolarmente care alla tradizione, diffuse in numerose parti dell’isola (da Ribera a Siracusa, ad Agrigento a Messina), sono quelle du Nannu e ‘a Nanna di Carnalivari, rappresentazioni del Carnevale, il cui caratteristico rogo si lega a quel rito di rinnovamento dello spirito tipico dei saturnali e delle antesterie. Nel palermitano, tanto nei quartieri del centro storico quanto nelle province come Cinisi, Borgetto, Bisaquino e Mezzojuso, i personaggi du Nannu e a Nanna sono due vecchietti abbigliati con indumenti semplici. All’interno di un baule posto sopra un carretto, con tanto di corteo funebre e banda al seguito, la sera martedì grasso, al grido di “Muriu u nannu! Muriu a nanna! Mischini mureru! Mureru u nannu e a nanna!” vengono accompagnati da un gruppo di piangenti all’ultima dimora.

Giunti dinanzi al palco montato al centro della piazza, si da pubblica lettura del testamento con le ultime volontà dei defunti e si procede al rogo a seguito del quale, u Nannu e a Nanna (Carnevale) passeranno all’altro mondo, immolandosi per purificare la propria comunità; un rito, quello di “abbruciare” che – secondo quanto raccolto da Ignazio Buttitta – «s’ha fattu sempri […] dal simbolismo ricco e diversificato». Una cerimonia caratterizzata dalla presenza del fuoco. «[…] per quanto la fiamma non sia votata a un santo – continua Buttitta – […] ci si ritrova pur sempre in presenza di un fuoco ritualmente acceso in cui si riscontra […], in unione al fuoco, la presenza di fantocci», pantomina del rito di purificazione e passaggio dal vecchio al nuovo.

Simbolo di abbondanza, il vero protagonista del carnevale è, però, il cibo. Tra le portare principali i maccheroni al ragù e il minestrone con patate, fave, cipolla, prezzemolo e lardo di maiale. Ma una festività che si rispetti non può essere considerata tale, in Sicilia, senza (almeno) un dolce che l’accompagni. E, allora, ecco disporsi un tripudio di “chiacchere” (fragranti striscette a base di farina, zucchero e uova, fritte in olio bollente e cosparse di zucchero a velo), “pignolata” (dolcissimi bocconcini ricoperti di miele disposti nella caratteristica forma di pigna), “ravioli” (deliziose mezzelune farcite con ricotta fresca e ricoperte di zucchero) e “teste di turco” (dolci al cucchiaio, composti da una sfoglia ricoperta di crema al latte aromatizzata alla cannella e limone).

Colori, odori e sapori che strizzano l’occhio al futuro con la giusta misura di goliardia e ottimismo. Un viaggio lungo che, dai fasti dell’antichità, porta con sé la speranza di una vita lieta adornata da una maschera che cela il valore di un sorriso senza tempo.

articolo di Carmela Chiara Corso

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