C’erano una volta i manicomi

C’erano una volta i manicomi

«La società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia»

Franco Basaglia

Quella della cura mentale è, per certi versi, una delle pagine più controverse della storia della medicina che racconta di manicomi, di trattamenti clinici spesso ai limiti delle barbarie (grate, cinghie, camicie di forza, solo per citarne alcune) ed, ancora, di alienazione, di una follia da tenere lontana dal mondo, da contenere, da nascondere ad una collettività che teme e prova vergogna di ciò che non riesce a comprendere etichettandola come scandalo sociale.

C’erano una volta i manicomi, le celle di isolamento, assistenti e guardiani selezionati in base alla forza bruta più che alle competenze e, soprattutto, c’erano cose e numeri, non persone, da “gestire”, spesso legando e fustigando.

Soltanto alla fine degli anni Settanta del Novecento, grazie al lavoro e all’impegno di Franco Basaglia – capostipite di una generazione di psichiatri che concepiscono un nuovo concetto di Salute Mentale in Italia – si giunge alla applicazione della Legge n.180 intitolata “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”, ad oggi una delle leggi in ambito sanitario che ha più rivoluzionato la Salute degli Italiani e che va, di fatto, a sostituire la precedente normativa (legge 36/1904) che definisce gli assistiti “alienati” e concede larghi poteri al direttore del manicomio, portando spesso alla totale cancellazione dei diritti civili dei degenti.

Con il suo lavoro, in controtendenza, Basaglia propone l’avvio di un processo di ampio respiro, medico e culturale, che intende ristabilire la dignità e la centralità della persona anziché dell’istituzione poiché, come egli stesso afferma, «La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia».

Con l’approvazione del 13 maggio 1978 si stabilisce che tutti i trattamenti sanitari debbano essere volontari e che il trattamento non volontario, detto Trattamento Sanitario Obbligatorio (o TSO), e quindi la prestazione delle cure in condizioni di degenza ospedaliera, possano avvenire in presenza di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici; la non accettazione delle cure (seppur necessarie) da parte dell’infermo; assenza di condizioni e circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extra ospedaliere.

«Per poter veramente affrontare la “malattia”, dovremmo poterla incontrare fuori dalle istituzioni, intendendo con ciò non soltanto fuori dall’istituzione psichiatrica, ma fuori da ogni altra istituzione la cui funzione è quella di etichettare, codificare e fissare in ruoli congelati coloro che vi appartengono»

Il testo disciplina, inoltre, i passaggi necessari e il diritto di tutela del malato, indicando anche tempistiche e autorità di riferimento per l’impugnazione del trattamento. Per effetto della Legge Basaglia viene predisposta la chiusura definitiva dei manicomi, mostrando al mondo quanti e quali orrori venissero perpetrati all’interno, stabilendo al contempo il graduale superamento degli ospedali psichiatrici e tracciando, in tal modo, la strada alla rivoluzione nel campo della salute mentale: non più contenitiva ma riabilitativa verso la persona e integrata nella società.

Altra grande novità sullo spostamento extra ospedaliero è contenuta all’art. 6: “gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione relativi alle malattie mentali sono attuati di norma dai servizi e presidi psichiatrici extra ospedalieri“. Questo costituisce a tutti gli effetti, l’antefatto normativo che porterà alla creazione dei Centri di Salute Mentale (CSM).

«Dal momento in cui oltrepassa il muro dell’internamento, il malato entra in una nuova dimensione di vuoto emozionale […]; viene immesso, cioè, in uno spazio che, originariamente nato per renderlo inoffensivo ed insieme curarlo, appare in pratica come un luogo paradossalmente costruito per il completo annientamento della sua individualità, come luogo della sua totale oggettivazione. Se la malattia mentale è, alla sua stessa origine, perdita dell’individualità, della libertà, nel manicomio il malato non trova altro che il luogo dove sarà definitivamente perduto, reso oggetto della malattia  e del ritmo dell’internamento. L’assenza di ogni progetto, la perdita del futuro, l’essere costantemente in balia degli altri senza la minima spinta personale, l’aver scandita e organizzata la propria giornata su tempi dettati solo da esigenze organizzative che – proprio in quanto tali – non possono tenere conto del singolo individuo e delle particolari circostanze di ognuno: questo è lo schema istituzionalizzante su cui si articola la vita dell’asilo»

Al netto di una grande rivoluzione nella visione d’insieme e nel trattamento della malattia mentale, la Legge Basaglia resta, per molti aspetti, una grande incompiuta, con casi trattati in maniera differente in tutto il territorio nazionale a seconda dei vari Dipartimenti di salute mentale a cui ci si rivolge, differenze sostanziali sul tema degli investimenti e di un diritto alla cura che non è uguale per tutti. A ciò si aggiunge la complessa realtà degli ospedali psichiatrici giudiziari che contano migliaia di persone e all’interno delle cui mura la legge Basaglia pare non essere mai arrivata.

articolo di Carmela Chiara Corso

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Photo credit: Gabriele Picello