Giulia Tofana e l’acqua assassina

Giulia Tofana e l’acqua assassina

Un animo oscuro, celato da un volto angelico, responsabile della morte di oltre 600 uomini. Il suo nome era Giulia Tofana, una delle più prolifiche avvelenatrici seriali della storia .

Le donne del XVII secolo avevano poco controllo sulla propria vita. Figlie e nobili venivano trattate come proprietà, come merce di scambio per matrimoni capaci di sanare o incrementare patrimoni, affari e relazioni politiche, mentre le donne delle classi più povere erano spesso intrappolate in matrimoni violenti, vittime di abusi. Ma mentre molte rimanevano in silenzio, altre decisero di ribellarsi a questa ingiustizia scendendo a patti con la morte. Una di loro fu, senza dubbio Giulia Tofana, cortigiana e fattucchiera palermitana di umilissimi origini.

Capelli biondi, pelle diafana e fisico da dea, Giulia decise, ancora giovanissima, di prendere in mano le redini della propria esistenza e di sfuggire alla propria condizione di miseria, sfruttando al massimo tutto ciò che possedeva: bellezza e intelligenza. In cambio di favori sessuali a numerosi esponenti del clero, fu grazie all’amicizia stretta con un frate speziale che apprese i primi rudimenti di manipolazione di polveri ed erbe, mettendo a frutto quanto imparato nella produzione di una particolare miscela. Dopo vari esperimenti riuscì ad ottenere la formula del veleno perfetto: l’acqua tofana, un elisir potentissimo, a base di arsenico, belladonna e antimonio (forse anche piombo), capace di uccidere lentamente, senza dare nell’occhio, lasciando roseo il colorito della vittima. Nessun odore, nessun colore, nessun sapore. In breve tempo si trovò tra le mani una merce preziosa che mise in commercio e che dì a poco l’avrebbe resa ricca e potente.

In una società avvelenata da rancori e complotti, Giulia non faticò a trovare acquirenti. Sponsorizzato come prodotto per la cosmesi, l’acqua veniva venduta alle clienti con precise istruzioni sul suo reale utilizzo. Una sola avvertenza: la somministrazione doveva avvenire un po’ per giorno, attraverso un numero preciso di gocce versate nelle bevande o nel cibo. Il giro di affari si allargò in fretta tanto da consentire a Giulia una certa stabilità economica fino a quando, l’assistente e sorella di latte Girolama, a causa della distrazione di un cliente, rischiò di finire sotto la lente dell’Inquisizione. Lasciata Palermo alla volta di Roma insieme ad un frate, si inserì rapidamente e con facilità agli ambienti del Vaticano.

Dopo un breve periodo di inattività, in attesa che le voci su di lei si attenuassero, avvicinò tantissime nobildonne costrette in matrimoni scomodi o infelici e desiderose di libertà. Fiutata la possibilità di un lauto guadagno, riprese la produzione di veleno, causando la morte di centinaia di uomini. Arricchitasi sulla pelle di tantissimi malcapitati fu tradita dalla disattenzione di una delle sue migliori clienti che, ansiosa di sbarazzarsi del consorte, contrariamente alle istruzioni ricevute, gli somministrò l’intera boccetta provocandone la morte immediata e attirando su di sé sospetti e dicerie. Le indagini condussero presto a Giulia.

Da qui la storia si dirama in diverse direzioni: alcune versioni vogliono che Giulia sia riuscita a scappare nelle campagne, nascosta dalla folla e protetta da tutte le vedove che avevano usufruito dei suoi servizi. Altre che sia stata arrestata, torturata e sottoposta a processo insieme alle sue clienti.

Quale che sia la versione più vicina alla realtà, a Giulia va riconosco un ruolo nell’aver aiutato, attraverso metodi di certo discutibili, ad esercitare il proprio diritto a vivere, amare, scegliere e disobbedire. Un diritto per certi versi ancora oggi disatteso.

articolo di Carmela Chiara Corso