La storia nel Piatto
La festa dell’Immacolata da il via alle celebrazioni del periodo natalizio. Oltre venti giorni, dall’8 dicembre al 6 gennaio, durante i quali, mentre le case si addobbano di luci scintillanti, alberi e presepi, sulle tavole prendono posto pietanze e dolciumi. Una sinfonia di profumi, colori e sapori per appagare e viziare i palati di grandi e piccini. Aperte le danze, in devozione all’Immacolata Concezione della Vergine Maria, ecco sfilare sfincione (palermitano o bagherese), baccalà fritto e cardi in pastella. Ma a farla da padrone, in Sicilia, sono sempre i dolciumi. E ancor prima dell’arrivo degli immancabili panettone e pandoro, feticci del Natale all’italiana, il tradizionale scaccio (calia, noci, nocciole e mandarle) e le sfincette. Per i denti più robusti, l’arabesca petrafennula (una sorta di torrone a base di miele, mandorle, bucce di cedro e arance, confetti e cannella) e i profumati mustaccioli. E poi arriva lui, punta di diamante della pasticceria tradizionale natalizia: il cucciddato, o buccellato. Uno scrigno di friabile pasta frolla ricoperto di glassa, che custodisce un morbido cuore fatto di un impasto di fichi secchi, frutta candita, mandorle, scorze d’arancia e, in alcune varianti, pezzetti di cioccolato. Un’esplosione di sapori che mette delizia, inebria le papille gustative e scalda il cuore.
Il Buccellato
Bello, profumato e ricco. Basterebbero questi tre aggettivi per descrivere il buccellato, meglio noto come “cucciddatu”, la risposta siciliana al pandoro e al panettone, dolce delle feste per eccellenza. Un friabile e dolce involucro di pastafrolla che, come uno scrigno, racchiude al suo interno una morbida e saporita farcia di fichi secchi, uva passa, mandorle, talvolta cioccolato, scorze d’arancia e altri ingredienti che variano a seconda delle zone in cui viene preparato, poi chiusa e conformata spesso a forma di ciambella.
Un’origine antichissima che affonda le proprie radici nel panificatus dei romani. Il nome buccellato dal latino buccellatum, pane da trasformare in buccelli, piccoli tozzi, bocconi, sembra, infatti, essere collegato o alla buccina, la tromba ricurva utilizzata dai legionari romani; alla buccella, che indicava il pane a ciambella che gli imperatori distribuivano al popolo, o, ancora, al “buccellaro”, l’addetto alla distribuzione.
Nella versione scenografico o più casareccia, decorato con la sola glassa ed una pioggia di zuccherini colorati, se ne trova traccia nel corso dei secoli, soprattutto in epoca medievale durante il periodo di dominazione normanna, per la presenza di ingredienti dell’area mediterranea come scorze di agrumi, cedri e zucche, e per la struttura che ricorda, seppure vagamente, gli strudel delle popolazioni nordiche e per l’abbondanza di frutta secca nell’impasto del ripieno.
Presente in tutto lo stivale – dalla Toscana alla Sicilia, dall’Emilia Romagna alla Calabria, caratterizzato da una grande varietà di ingredienti, forme e misure – assume una valenza diversa a seconda del luogo in cui ci si trova: se nell’isola viene preparato come dolce natalizio, in quel della Calabria è presentato come pane rituale o, ancora, in Veneto legato alla celebrazione delle cresime, infilato su nastri colorati intrecciati a formare lunghe collane.
articolo di Carmela Chiara Corso
già pubblicato, sulla pagina facebook TACUS Arte Integrazione Cultura, il 6/12/18
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