Fascino, storia e leggenda
Nascosto, bramato, leggendario. È il Sacro Graal, uno dei simboli più importanti e controversi della storia, al centro di storie e racconti spesso fantasiosi e inverosimili.
Originariamente legata ad antiche saghe celtiche, l’immagine del Graal, come semplice piatto o coppa, è un riferimento all’iconica ed inesauribile cornucopia greco-romana, intesa come rappresentazione della natura spirituale dell’aldilà.
Nella tradizione cristiana, invece, collegando l’etimologia dei termini francesi San Greal («Sacro Graal») e sang real («sangue reale»), viene identificato come il calice con cui Gesù celebra l’Ultima Cena e nel quale Giuseppe d’Arimatea ne raccoglie il sangue dopo la crocifissione.
Emblema della figura stessa di Cristo, il Graal è considerata la reliquia più preziosa. Durante il Medioevo, diviene oggetto di una ricerca incessante e spasmodica ad opera dei Templari. È il tempo delle Crociate e i cavalieri stazionano in Terra Santa a protezione dei pellegrini, lì dove, secondo le testimonianze, è nascosto il Santo Calice.
«È un oggetto cosi augusto che il Paradiso non ha nulla di più bello… fiore di ogni felicità, esso portava in terra una tale pienezza di doni, che le sue virtù eguagliavano quelle si attribuiscono al Regno dei Cieli»
W.Von Eschenback, Parzival
La fonte più antica (Arculfo, VII secolo), parla di un calice argenteo a due manici rinchiuso in un reliquiario di una cappella vicino Gerusalemme, tra la basilica del Golgota e il Martirio; un’altra fonte (romanzo Titurel il giovane, XIII secolo), parla di una copia del Graal a Costantinopoli; un’altra ancora, sostiene che dei due calici sopravvissuti fino ad oggi e creduti essere il Graal, uno si trova a Genova nella cattedrale di San Lorenzo (sacro catino) e l’altro (santo cáliz) nella cattedrale di Valencia. Le speculazioni moderne indicano, tra i papabili luoghi depositari del Graal, un’area compresa tra Europa, Medio Oriente e America.
A cavallo tra il XII e il XIII secolo, il Graal è il protagonista di una serie di romanzi. Tra tutti, il Parsifal di Chrétien, al Giuseppe d’Arimatea di Robert de Boron, passando per l’anonimo Queste del Saint–Graal e il ciclo arturiano. Qui, ricostruzioni storiche e invenzione narrativa si intrecciano e confondono, generando quel fitto manto di leggenda e mistero che avvolge la verità del gradale e che nutre l’immaginario collettivo, stimolando la fantasia degli studiosi.
Se per alcuni, infatti, il Graal è il calice dell’ultima cena, per altri è niente meno che il Sang Real, il sangue della discendenza di Gesù e di Maria Maddalena, metafora del ventre che accoglie e custodisce la progenie di Cristo. Tesi più recenti vogliono il Graal come una pietra staccatasi dalla corona di Lucifero durante la caduta negli inferi; come un libro sacro scritto dallo stesso Gesù o, ancora, come il sudario utilizzato per avvolgerne il corpo dopo la morte.
Al netto di visioni verosimili, supportate o meno da prove e testimonianze, la valenza simbolica del Graal è indiscutibile. Esso allude, infatti, al possesso di una conoscenza esoterica o iniziatica, elargita gratuitamente da Dio. Tale conoscenza, però, comporta una conquista, riservata ai soli che si dimostrano degni dell’enorme potere in esso racchiuso e capaci di accoglierne il mistero.
«La ricerca del Santo Graal è la ricerca dei segreti di Dio, inconoscibili senza la grazia.»
Étienne Gilson, La mystique de la gràce dans la Queste del Saint Graal
É nel Calice che, in chiave allegorica, si trova l’essenza stessa del file rouge che lega la vita terrena a quella spirituale, l’uomo al divino.
articolo di Carmela Chiara Corso
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