Ipazia di Alessandria

Ipazia di Alessandria

tra astri, filosofia e religione

Scienziata e matematica, astronoma e rappresentante eccellente della filosofia neoplatonica, Ipazia di Alessandria, considerata a ragione una delle donne più sagge e colte dell’antichità, è, ancora oggi, a 1600 anni dalla sua brutale uccisione, emblema e martire della libertà di pensiero.

Poche e scarne sono le informazioni sulla sua vita. Le due principali fonti sono Socrate Scolastico – avvocato presso la corte di Costantinopoli e contemporaneo di Ipazia – e Damascio , filosofo neo-platonico vissuto un secolo più tardi. Nata ad Alessandria d’Egitto intorno al 370 d.C., viene indirizzata dal padre Teone, allo studio della matematica, della geometria e dell’astronomia. Quella tra Teone e Ipazia, è la storia di una rara alchimia, di un padre che riconosce, senza lasciarsene intimorire, la straordinaria intelligenza della figlia; che non la sminuisce, non la limita ma che, al contrario, la sprona a coltivare ed accrescere la propria conoscenza, ne fa una sua allieva e le affida il compito di revisionare i suoi stessi scritti. In una società caratterizzata da una diffusa e assai radicata misoginia, Teone rivendica con orgoglio il prezioso contributo della figlia al proprio lavoro. A margine del suo commento al sistema matematico di Tolomeo, infatti, scriverà: «questa edizione è stata controllata dalla filosofa Ipazia, mia figlia».

Donna di enorme cultura filosofica è, secondo l’opinione dei contemporanei, una delle menti più avanzate e fini allora esistenti. Formula una sua ipotesi sul movimento della Terra, in alternativa alla teoria geocentrica tolemaica e, secondo alcune fonti, figura come l’inventrice dell’astrolabio, del planisfero e dell’idroscopio. Allo studio delle scienze esatte affianca quello della filosofia, traducendo e commentando Platone, Plotino, Aristotele e gli altri filosofi maggiori.

«Per la magnifica libertà di parola e di azione che le veniva dalla sua cultura, accedeva in modo assennato anche al cospetto dei capi della città e non era motivo di vergogna per lei lo stare in mezzo agli uomini: infatti, a causa della sua straordinaria saggezza, tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lei un timore reverenziale»

Socrate Scolastico

Dotta, appassionata e generosa, è una vera e propria istituzione e un punto di riferimento culturale della sua epoca che ama condividere pubblicamente il suo sapere, suscitando ammirazione e rispetto da parte delle autorità cittadine.

«[…] Era pronta e dialettica nei discorsi, accorta e politica nelle azioni, il resto della città a buon diritto la amava e la ossequiava grandemente, e i capi, ogni volta che si prendevano carico delle questioni pubbliche, erano soliti recarsi prima da lei, come continuava ad avvenire anche ad Atene. Infatti, se lo stato reale della filosofia era in completa rovina, invece il suo nome sembrava ancora essere magnifico e degno di ammirazione per coloro che amministravano gli affari più importanti del governo»

Damascio

Nota per la sua saggezza e la sua erudizione, è apprezzata anche per la sua straordinaria bellezza. Malgrado i numerosi corteggiatori al suo seguito, Ipazia non contrarrà mai il matrimonio e, all’età di 31 anni, sarà lei a succedere al padre a capo della scuola neoplatonica alessandrina, il grande Museo di Alessandria, centro di studi dedicato alle muse protettrici delle scienze e delle arti e sede della più grande biblioteca dell’antichità.

Il sempre maggiore prestigio conquistato da Ipazia ad Alessandria non è più solo ed esclusivamente culturale. Il suo è un potere che va oltre la semplice conoscenza: è un vero e proprio potere politico. In un clima di fanatismo, di ripudio della cultura e della scienza in nome della crescente religione cristiana – siamo all’indomani dell’ascesa alla carica episcopale di CirilloIpazia, donna, pagana e colta, rappresenta un pericolo e come tale deve essere fermata. Attraverso lei si vuole dare un avvertimento ai pagani che ancora occupano posti chiave nell’amministrazione della città e che tentano di mantenere in vita la cultura ellenica.

Suo malgrado, viene trascinata all’interno della personale guerra tra Cirillo e il prefetto di Alessandria, Oreste, accusata con calunnia di essere una delle cause di questo conflitto poiché è «lei a non permettere che Oreste si riconciliasse con il vescovo». Calunnie divulgate anche da Giovanni di Nikiu, un vescovo cristiano copto attivo ad Alessandria nel VII secolo, che etichetta Ipazia come strega: «In quei giorni apparve in Alessandria un filosofo femmina, una pagana chiamata Ipazia, che si dedicò completamente alla magia, […] che ingannò molte persone con stratagemmi satanici. Il governatore della città l’onorò esageratamente perché lei l’aveva sedotto con le sue arti magiche. Il governatore cessò di frequentare la chiesa come era stato suo costume. […] E non solo fece questo, ma attrasse molti credenti a lei, ed egli stesso ricevette gli increduli in casa sua».

L’8 marzo del 415 d.C., in un lunedì di Quaresima, Ipazia viene trucidata e lapidata in una chiesa da una folla di fanatici. Racconta Socrate Scolastico: «un gruppo di cristiani dall’animo surriscaldato, guidati da un predicatore di nome Pietro, si misero d’accordo e si appostarono per sorprendere la donna mentre faceva ritorno a casa. Tiratala giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario; qui, strappatale la veste, la uccisero usando dei cocci. Dopo che l’ebbero fatta a pezzi membro a membro, trasportati i brandelli del suo corpo nel cosiddetto Cinerone, cancellarono ogni traccia bruciandoli. Questo procurò non poco biasimo a Cirillo e alla chiesa di Alessandria. Infatti stragi, lotte e azioni simili a queste sono del tutto estranee a coloro che meditano le parole di Cristo.». Anche Damascio rievoca la brutalità dell’omicidio: «una massa enorme di uomini brutali, veramente malvagi […] uccise la filosofa […] e mentre ancora respirava appena, le cavarono gli occhi».

Il nome di Ipazia, vittima di un dogmatismo fondamentalista e sacrificata in nome di una fede oscurantista e misogina, è tornato in auge durante l’Illuminismo per l’alto valore raggiunto dai suoi studi, ed eletto quale simbolo della libertà di pensiero e dell’indipendenza femminile. La sua eredità è presente in romanzi, poesie, opere teatrali e quadri.

articolo di Carmela Chiara Corso

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Photo credit: A roman beauty, dipinto di John William Godward