La Lettera del Demonio. Il mistero della Beata Corbera

La Lettera del Demonio. Il mistero della Beata Corbera

Tra le numerose leggende che la terra di Sicilia custodisce ce n’è una che racconta di una oscura missiva, scritta – si dice – da Lucifero in persona, in una lingua sconosciuta con parole e caratteri oscuri. La “Lettera del Diavolo”, questo il nome del sinistro documento, venne ricevuta da Suor Maria Crocefissa, al secolo Isabella Tomasi, del convento delle benedettine di Palma di Montechiaro ad Agrigento.

Era l’11 agosto del 1676 quando Isabella si risvegliava nella sua cella con il volto imbrattato di inchiostro. Alle consorelle rivelò di aver aver lottato per l’intera notte don Demonio che voleva tentarla. Le consegnò personalmente una lettera costringendola a firmarla. Narra la storia che, seppur spaventata da uno dei demoni, che minacciava di colpirla con un pesante calamaio di bronzo, Suor Crocefissa, la sola in grado di comprenderne il contenuto, in un moto di ribellione, per non apporvi il proprio nome scrisse solo «ohimè». Al mattino, tramortita, ritrovò la missiva, scritta in un alfabeto incomprensibile.

Ma quale oscuro messaggio si nasconde nella lettera del demonio? Il contenuto delle 15 righe della lettera non è ancora stato completamente decifrato. Da ciò che è emerso si tratta di una missiva che parla di Dio e del Diavolo. Si legge dello Stige, uno dei cinque fiumi degli inferi – «Forse ormai certo Stige» […] «Poiché Dio Cristo Zoroastro seguono le vie antiche e sarte cucite dagli uomini» – o, ancora, «Un Dio che sento liberare i mortali». E se alcuni propendono per il messaggio salvifico di Dio, altri sostengono che la lettera possa essere stata scritta dalla stessa suor Crocefissa (e non sotto dettatura del Maligno) che potrebbe avere sofferto di un disturbo bipolare e aver inventato con cura un alfabeto mischiando parole e simboli che conosceva. Oltre alla lettera, la suora raccontò di aver ricevuto altri due messaggi di cui non scrisse né rivelò mai il contenuto. «Non mi domandate di questo per carità – si giustificò con le consorelle – che non posso in verun modo dirlo, e nemmeno occorre dirlo io, che verrà tempo che il tutto udirete e vedrete».

Numerosi gli studiosi che si sono impegnati nel decifrarla, tra loro anche scrittori come Andrea Camilleri e, prima di lui, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, discendente di Isabella, il che visitò infatti il monastero nel 1955, citando la storia all’interno del Gattopardo, nel capitolo dedicato alla “Beata Corbera”.

Ancora oggi il monastero sarebbe in possesso di una copia della lettera, mentre l’originale si trova esposto nella torre della Cattedrale di Agrigento

articolo di Carmela Chiara Corso