Meucci e l’invenzione del telefono

Meucci e l’invenzione del telefono

18 ottobre 2015

Quella di comunicare è sempre stata un’esigenza recondita nell’uomo sin dagli albori. Il bisogno di esprimersi, di trovare un contatto con gli altri lo ha spinto all’articolazione e all’evoluzione del linguaggio. Ma come fare a comunicare a distanza? Segnali di fumo, giochi di luce con vetri e specchi, messaggi scritti… tantissimi dono gli strumenti utilizzati dall’uomo nel corso dei secoli nel tentativo di raggiungere i suoi simili e accorciare le distanze. L’avvento della tecnologia e, nello specifico, dell’elettricità, gli ha permesso di compiere enormi passi avanti.

Il primo a muoversi in tal senso è l’inglese Francesco Rowlands con l’invenzione del telegrafo elettrico che spianerà la strada ai lavori di Carlo Wheastone, Guglielmo Cooke e Samuel Morse, inventore del telegrafo elettromagnetico e dell’omonimo codice. Ma colui che più di ogni altro ha rivoluzionato il modo di comunicare come noi lo intendiamo è sicuramente Antonio Meucci, il geniale e sfortunato inventore italiano che, intuendo le enormi potenzialità del rapporto che lega l’elettricità alle comunicazioni, ha regalato al mondo l’elettrofono.

Nato a Firenze il 13 aprile 1808, Meucci frequenta l’Accademia delle Belle Arti dove approfondisce gli studi di chimica e meccanica. Lavorando inizialmente come daziere, poi come aiuto macchinista, rivela la sua passione per la trasmissione dei suoni, mettendo a punto una prima invenzione, il “tubo acustico”.

Coinvolto nei moti del 1831 è costretto a lasciare l’Italia insieme alla moglie Ester Mochi. Emigra all’Avana dove trova occupazione come sovrintendente tecnico presso il “Gran Teatro de Tacon”, il più prestigioso d’America. Ritorna a lavorare al suo progetto, maturando però l’idea di “telegrafare la parola”, di trasmettere i suoni, cioè, attraverso la corrente elettrica. Nel 1850 si trasferisce a Clifton, nell’isola di Staten Island, vicino a New York. Qui ospita ed aiuta molti rifugiati politici italiani tra i quali un operaio, Giuseppe Garibaldi che rimane tre anni a Clifton, occupato nella fabbrica di candele che Meucci ha aperto, svolgendo altresì un importante ruolo di stimolo ed incoraggiamento per l’amico a persistere nei suoi esperimenti e ricerche. Nel 1962 la fabbrica di candele di Antonio Meucci a Staten Island divenne il Garibaldi – Meucci Museum. Oltre alle candele Meucci diviene, intanto, anche produttore di birra.

Fra il 1854 ed il 1856 realizza il suo primo telefono, ma non dispone dei capitali necessari né per la sua messa in produzione né, tantomeno, per brevettarlo. Nel 1871 riesce comunque ad ottenere un “caveat”, una sorta di brevetto a scadenza, che per un anno tutela l’invenzione, e che egli riesce a rinnovare anche nei due anni successivi; nel 1874, però, le sue condizioni economiche non gli consentono più il rinnovo del brevetto al quale è costretto a rinunciare. La sua invenzione rimane così priva di protezioni. La Compagnia Telegrafica di New York, alla quale si propone, non coglie l’importanza della novità e respinge la sua offerta perdendo, tra l’altro, stranamente, il relativo fascicolo. Ma è il 14 febbraio 1876 che Meucci riceve una delle delusioni più grandi. Alexander Graham Bell, fisico americano, deposita il progetto per la trasmissione della voce tra due apparecchi collegati con un filo elettrico. Venutone a conoscenza, Meucci denuncia Bell e la “Bell Telephone Comp.”: la lunga e complessa vertenza registra un primo successo quando, nel 1886, un rapporto del Ministero dell’Interno riconosce a Meucci la priorità dell’invenzione. Ma si dovranno percorrere vari gradi di giudizio per giungere ad un verdetto definitivo, e quando il 18 ottobre 1889 Antonio Meucci muore, la sospirata sentenza non è ancora giunta.

Dovranno passare 113 anni perché, grazie all’ingegnere e scienziato siciliano Basilio Catania – che al Meucci ha dedicato una ponderosa opera in quattro volumi – l’11 giugno 2002 il Congresso degli Stati Uniti d’America riconosce in via definitiva che la paternità dell’invenzione del telefono appartiene allo scienziato italiano Antonio Meucci: ciò che non ha saputo stabilire la giustizia lo ha così sancito la storia.

Come risarcimento morale per non avergli conferito il credito che meritava, La City University of New York ha istituito una giornata celebrativa all’inventore italiano.

di Carmela Corso

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