Tra le numerose leggende e storie tramandateci dalla tradizione una assai curiosa è legata ad una delle zone, oggi, più trafficate di Palermo. Nel cuore de centro storico all’interno del quartiere del Capo, alle spalle della maestosa Cattedrale, in corrispondenza del letto del fiume Papireto, si estendeva una vasta palude. A causa delle esalazioni venefiche prodotte era una zona assai inospitale tanto che i casi di moria le affibbiarono l’infelice nomea di “Piano del Buonriposo”.
Fu proprio in questa zona che, nel corso del XVI secolo, un intraprendente quanto lungimirante uomo d’affari acquistò un’abitazione che trasformò in un’appetibile e ambita meta di “villeggiatura” per tutti quei mariti che, rinfrancati nello spirito da una ventata di rinnovata libertà nei costumi – che consentiva di alleggerirsi di quella rigidità che fino ad allora aveva negato loro i divertimenti e, soprattutto, i piaceri della carne – intendevano liberarsi di mogli scomode e ingombranti in un momento storico in cui la possibilità di porre fine al rapporto matrimoniale attraverso il divorzio non esisteva ancora.
Dalle cronache dell’epoca pare, infatti, l’esposizione ai miasmi venefici, portasse rapidamente alla morte tante malcapitate ingannate dalla promessa di un dolce soggiorno. A seguito dei numerosi casi di moria verificatisi, il senato palermitano decretò il definitivo interramento del fiume e la bonifica della palude, ponendo fine al redditizio mercato che aveva fatto la fortuna del bieco imprenditore.
Un paio di secoli più tardi, le donne ebbero modo di prendersi la propria rivincita avvalendosi dei servizi di Giovanna Bonanno, celebre avvelenatrice palermitana, nota ai più come “La Vecchia dell’aceto“, che in quell’aria aveva esteso il raggio d’azione del suo personale “mercato della morte”.